YANGON
- Fulvio e Irene (scusatemi le foto sgranate
- 8 apr 2016
- Tempo di lettura: 4 min
Non solo un'oretta di aereo.
Bangkok e Yangon distano tra loro anni di coscienza e conoscenza del mondo al-di-fuori.
Era il 1947 quando, compiuto il compibile per ottenere l'indipendenza e fatto il fattibile per compattare attorno ad una sola entità popoli e fazioni tribali, il generale Bogyoke Aung San viene assassinato. Le centrifughe e inarrestabili perturbazioni politiche portarono all'affidamento delle funzioni di governo ad una giunta militare, presieduta da Ne Win, nel 1958.
Dopo 53 anni di isolazionismo, di stato di polizia, di elezioni fasulle e annullate, di costituzioni ad hoc, di repressioni delle libertà civili, il governo militare smise di presentarsi come tale e ne instaurò uno con ruoli civili, ma presieduto dagli stessi personaggi, dagli stessi attori politici.
Elezioni veramente libere si sono tenute solo nel novembre 2015, quando la Lega Nazionale per la Democrazia (LND), guidata da Aung San Suu Kyi, figlia di Bogyoke Aung San, ha stra-vinto l'opposizione militare.
La storia di Aung San Suu Kyi è inestricabilmente legata a Yangon, dato che da qui lanciò le sue iniziative ed è da qui, dalla casa di famiglia, che perseguì la sua battaglia, segregata per tanti, troppi anni, agli arresti domiciliari. Una misura detentiva/repressiva con cui le impedirono persino di salutare per l'ultima volta il marito Aris, morto di cancro sul letto di un ospedale in Inghilterra.
Una donna con una storia di dolore, di sopportazione, di orgoglio e di perseveranza che ora, con 27 anni di ritardo dalla prima, legittima, annullata investitura elettorale, potrà finalmente provare l'attuazione delle sue idee e proposte in un posto, in un Paese, che pare tuttora essere un unicum nel panorama mondiale.
Tip #1: Ne Win, investito da un colpo di genio, cambiò il senso di marcia dal giorno alla notte, dalla sinistra alla destra. Nulla di ecezionale, se non fosse che il volante di tutti i veicoli era -e continua ad essere- posizionato a destra (tranne che per buona parte dei pullman, ma dipende dal paese di produzione). Per farvela breve: provateci voi (anzi, meglio di no) a sorpassare a sinistra.
Con queste elezioni, il Myanmar, senza rivoluzioni, si appresta a vivere la sua Rivoluzione.
Yangon ne è stata la capitale sino al 2005, quando -più per sfizio e mania di grandeur, ma facendola passare per decisione strategica- Naypidaw, costruita da zero al centro del Paese, ne ha preso il posto.
Una mossa pressochè inutile, dal momento che il cuore politico e culturale del Myanmar pulsa con veemenza a Yangon: lo sapeva bene la giunta militare, che disseminava di spie i centri sensibili d'incontro, come le tea-houses, vere istituzioni per il paese, siano esse meridiane o serali, gestite da cinesi o musulmani, e i templi, dai quali nel 2007 partì la 'Rivoluzione di Zafferano', stroncata dal Governo senza tanti fronzoli.
Arriviamo di sera a Yangon, e notiamo subito che indossa un abito serale affatto mondano, ma anzi silenzioso e calmo. E' una città che va a letto presto, soddisfatta la tardiva fame di qualcuno.
Troverete pollo, riso e pesce in quantità industriali, statene certi.
Ma, voleste togliervi lo sfizio, non faticherete a trovare ceste ricolme di insetti (dalla cavalletta al calabrone) fritti e a disposizione del cliente.
Se vi fidate del nostro palato, vi diciamo che sono croccanti e lasciano un vago retrogusto erbaceo: aspettate a bocciarli a priori, insomma.
Il mattino non è fatto per dormire.
La sveglia suona presto per tutti, ed è fervida l'attività dei mercati cittadini, con le loro bancarelle al suolo: spesso solo fogli di giornale separano pesci gatto, polli, enormi gamberi, polveri e verdure, mentre intorno tùrbinano saluti, sorrisi, contrattazioni e preparazione delle merci.
Il centro attivo di Yangon è questo: un coagulo di interazioni vis-à-vis, di genuine conversazioni sul più e sul meno e -da poco, pochissimo-, finalmente anche su questioni politiche, più o meno di fondo.

Tip#2: La genuinità sta anche -se non soprattutto-, nei caratteri culturali. Donne e bambini continuano ad usare la Thanakha, una polvere giallastra, come evidente trucco per il viso. E se pensate, guardandovi intorno, che gli uomini siano appena usciti dalla doccia, sappiate che quello non è un asciugamano ma il Longyi, una gonna maschile. Entrambi vengono portati con fierezza e massicciamente, in barba ai canoni occidentali che stanno facendo capolino: bellissimo.

Qui sta la Rivoluzione: nel rigetto della paura, del controllo repressivo, nella pazienza e nella speranza che essa venga ripagata, dopo decenni di invisibilità e disinteresse da parte dei grandi del mondo (sì, sì, va bene... Il Nobel per la Pace...).
Yangon, per altro verso, è casa del maggiore tempio birmano (ovviamente buddhista), la grandiosa Shwedagon Paya , la cui stupa (nome delle sommità dei templi, in tutto e per tutto simili a enormi campane), giganteggia, dorata, dalla sua posizione sopraelevata, custodita dalle statue di due enormi leogrifi.

Lo spettacolo migliore forse lo offre al buio, quando l'illuminazione artificiale le permette una visibilità meravigliosa, da diversi punti attorno alla città, riflettendone totalmente lo splendore naturale.
Uno dei punti migliori è uno dei due laghi cittadini, il Kandawgyi , mentre l'altro specchio d'acqua, l'Inya Lake, è beffardamente noto per ospitare, su un versante la residenza della famiglia San Suu Kyi, mentre, sull'altro, quella del generale/dittatore Ne Win, a ribadire ciò che è stato e (forse) mai più sarà.

Il Governo militare non risparmiava, comunque, gli sforzi per i propri sfarzi (lo ammetto, era uno sfizio parolistico): nell'ottica di fornire un'immagine 'diversa': ne è un esempio il People's Square and Park, di gran lunga il più bello e manutenuto dei parchi cittadini, ora molto frequentato dalle compagnie di giovanissimi.
Un popolare ritrovo 'verde' in pieno centro città, è il Mahabandoola Garden, che rimane la scelta preferita dagli yangonesi (non sappiamo come si dice) per trovare ombra e refrigerio, sfuggendo al sole severo. Anche qui si parla, si chiacchiera, ci si incontra.

Si parla, ora, a Yangon. Si parla del passato, se ne potrà finalmente parlare nelle scuole.
Se ne parla, finalmente, sedutio sui minuscoli sgabelli attorno ai sempre affollati tavolini delle tea-houses, tazza in una mano e fetta di dolce davanti, senza fretta per l'accadimento delle cose.
Ora, che è il suo turno, il Myanmar può permettersi di fare tesoro delle altrui esperienze e delle evidenze della Storia per decidere cosa fare di se stessa: non un boom tecnologico, non uno commerciale, non una pioggia miliardaria di investimenti.
Il cambiamento è la conquista -per molti la scoperta- delle libertà civili e di quelle politiche.
E allora, forse, il modo migliore per assaporarle e decidere che farne è proprio con una tazza di tè in una mano e una fetta di dolce davanti.
Così, come piace qua, senza fretta.

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