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DELHI

  • Fulvio (e Irene)
  • 26 feb 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

L'entropia, in una branca della meccanica, è una misura del disordine di un sistema -piú o meno aperto-.

Privando il concetto delle sue specifiche strettamente tecniche, possiamo assimilare l'entropia al subbuglio, al disordine, persino al caos -che è disordine generalizzato-.

Ecco, Delhi è entropia.


E' entropia nel suo brulicare di persone urlanti, nel viavai ininterrotto di mezzi di trasporto -siano essi macchine, moto, motorini, tuk-tuk, rickshaw (o 'risciò')- nel costante affidamento al clacson come unico mezzo di comunicazione stradale, nei continui tentativi di abbordaggio verbale a chi, riconosciuto come estraneo a questo immenso calderone con piú di 20 milioni di individui, può essere raggirato, truffato, abbindolato, nella sua devastante burocrazia.


Tip #1: Il tuk-tuk, cioè un'Ape-taxi, è il mezzo che meglio coniuga praticità ed esigenze di portafoglio. Ogni 5-6 secondi qualcuno vi chiederà se volete prenderlo. Contrattazione obbligatoria.


E' entropia perché tutto ciò, che ci ha fatto guardare a Delhi come il posto più simile alla nostra raffigurazione mentale dell'Inferno, incontra e convive con vere e proprie gemme, meravigliose alla vista e deliziose per l'udito.

Queste preziosità -apparentemente incastonate in maniera casuale nella pietra grezza- rendono questa immensa metropoli in un luogo in sé paradossale.

Fuori dai circuiti del traffico (ovvero: tutte le strade di Delhi), i sensi possono riaversi e godere.

Godere di silenzi inimmaginabili e di architetture a noi estranee che rimandano direttamente alle dinastie succedutesi e all'ensemble di religioni tuttora compresenti.


I nostri piani (leggasi: i piani di Irene) sono stati subito scompaginati dalle ripercussioni delle lotte fra le caste -con morti- nel nord del paese.

I treni per Jaipur e Agra -che ci eravamo immediatamente premurati di prenotare una volta liberatici dall'infinito check-in dell'ostello- erano infatti stati cancellati, o al completo. L'unica soluzione ragionevole prospettataci da un ufficio del Ministero del Turismo si è rivelata il noleggio di un autista per il tragitto fino ad Agra.

Ciò ha permesso alla salute mentale di Irene di ristabilirsi, dopo il k.o. dell'impatto iniziale, oggettivamente stancante.


Khan si è mostrato un guidatore affidabile nella sfrenata anarchia del traffico indiano e una persona premurosa, nonostante non abbia mancato di procacciarci come clienti per alcuni negozi e locali dimostratisi 'culo e camicia' (pardon, 'pappa e ciccia') con lui.

(Le tappe a Delhi sono state quindi frutto di una negoziazione pressoché unilaterale fra quanto propostoci e quanto in un primo tempo da noi pianificato).


Tip #2: Anche gli autisti privati, per quanto bravi, carini, gentili e affidabili, cercano comunque di massimizzare il proprio tornaconto. Se ne prendete uno, fategli capire che voi ci mettete i soldi e voi decidete.


La prima fermata é stata rappresentata dai Lhodi Gardens, dal nome dell'omonima dinastia che fece erigere i monumenti ai quali attorno sorge il curatissimo parco, prediletto dalla fauna avicola e dalle membra di tanti, cittadini e non.

Tutto il resto delle visite ha rispettato - màs o menos - gli obiettivi prefissati: le tracce della dinastia Moghul sono ben visibili in tutte le sale del Red Fort e del'altrettanto imponente Jama Masjid, moschea più grande di tutta l'India, ai cui piedi sorge un enorme bazaar, in cui credo si possa trovare di tutto, dai polli all'anima gemella, e chissà che queste due cose non combacino.

Tip #3: Aspettatevi, appena vi fermate o vi mettete a sedere, ad uno tsunami di richieste di fotografie. Altrimenti, vi fotograferanno comunque, ma di nascosto.


Il pomeriggio del secondo giorno è stato fruttuosamente impiegato, oltre che nella visita del Lotus Temple, all'ammirazione del mausoleo che si dice abbia ispirato il Taj Mahal, la tomba di Humayun, per poi, al tramonto, immergerci nella miriade di vicoli che compongono Nizam-ud-din, zona omonima del sufi sepolto nel santuario al centro del quartiere.

Nizam-ud-din odora intensamente di rosa, vendute dagli innumerevoli mercanti per le offerte votive, e, ricoperta com'é dai colori del teli che sormontano le bancarelle, ricorda molto da vicino le medine nordafricane.

Tip #4: TUTTI cercheranno di vendervi qualcosa o di portarvi da qualche parte. Dopo un po' ci farete il callo e li ignorerete, ma vi avvertiamo che all'inizio dovrete fare un po' di allenamento al "NO", non scortete ma deciso.


L'eredità di Delhi é complicatissima da elaborare e organizzare mentalmente: sarebbe impossibile e ingiusto ignorare la difficile realtà che l'immensità di questa città (grande quasi quanto mezza Val d'Aosta) non può fare a meno di sbattere davanti agli occhi.


Ho chiesto il più possibile d'improvviso a Irene cosa Delhi le avesse lasciato, cosa avesse rappresentato per lei. "Eeeh, è un casino...""Decidere?" "No no. Delhi è un casino".


Bazaar vicino a Jama Masjid

 
 
 

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